“Fissate le regole del buon vivere civile si fa star bene tutti”, ho letto in un libro sul repubblicanesimo e quindi sulla costituzione. Anche se poi chi ha teorizzato questa stessa idea si è accorto che qualcosa manca, ovverosia che il tema dell'appartenenza ha a che fare anche con le passioni, con le emozioni, e che questo giusto fissare e far rispettare le regole forse alla fin fine non basta. Quel politologo guardava all'Alto Adige come un territorio dove c'è quel surplus di cemento identitario e vedeva costituito questo “cemento” proprio nell'ambiente, nella difesa del patrimonio naturale, inteso come elemento trainante di identificazione e di appartenenza. Credo che proprio quest'ultimo, come parte profonda del territorio, possa essere rivendicato come parte dell'identità, in una chiave ovviamente meno etnico-identitaria e forzata e invece ben più civica e civile.
Giorgio Mezzalira, Stammtisch II, 27.10.2010
Ho cioè la sensazione che noi abbiamo un po' la tendenza ad allontanarci, e un certo timore di essere al centro di qualcosa. Anche a me può capitare di avere sintomi di un complesso del disagio, e per questo assumere atteggiamenti di allontanamento da questa realtà, per poco corretto che sia. Credo che la dimensione di confine ci piaccia in fondo, perché ci fa sentire sempre al margine di qualcos'altro. Anche Magris (N.d.r. Claudio Magris) in Microcosmi, nel paragrafo dedicato ad Antholz, rimprovera una fissazione, un “feticismo” del confine; quello che portava molti letterati sudtirolesi, e Kaser (N.d.r. Norbert Conrad Kaser) stesso, ad esibire il passaggio da una lingua all'altra rimarcando in fondo il confine, invece di superarlo. Mi ricorda molto la critica di Langer (N.d.r. Alexander Langer) a quell'atteggiamento del passare il fronte "etnico" non per demolirlo, ma per sottolinearlo, giocando spesso ai ruoli, scimmiottando i caratteri dell'altra cultura.
Valentino, Liberto, Stammtisch III, 30.10.2010
Perchè l' “Italiano”, che viene da lontano, da zone di confine, non si pone la domanda sul sè etnico o linguistico, e quindi su un “noi” legato a una Gemeinschaft (N.d.r comunità) e a un territorio; forse, in questo senso, non se lo pone neanche sul proprio “io”. L'“Italiano” che arriva qui vede i gruppi linguistici – tedesco, italiano, ladino – e si percepisce "costretto" a "definirsi", a darsi un'identità “ad hoc” che altrimenti non si darebbe. Il che è non è negativo per forza, ma è difficile; e quantomeno è sintomatico di come questa realtà abbia potenzialità e blocchi. Ecco, la sensazione di uno spazio bloccato, definito da schemi che si creano e ricreano di volta in volta.
Ospite, Stammtsich III, 30.10.2010
Ma attenzione: che vuol dire “Sudtirolese”, che vuol dire “Italiano” […]? Martina è Sudtirolese, è di lingua italiana […].
Bianca Elzenbaumer, Stammtisch III, 30.10.2010
Mi sento contrariata, ma piuttosto alle persone stupide […]. Qui in Sud-Tirolo il problema sta tutto nella questione dei gruppi etno-linguistici, ovvero prima linguistici e poi etnici, diventati strumenti del potere e costretti a rimanere tali per garantire la solita spartizione di posti e ricchezza. È il problema paradossale della politica di qui, che deve mantenere la separazione dei gruppi per mantenere la spartizione delle risorse […].
Ospite, Stammtisch III, 30.10.2010
Viceversa, però: si è iniziato a parlare prima di gruppi “etnici”, poi di “linguistici” […]. (Ospite) Sì, nello statuto dell'autonomia c'è scritto “linguistici”, non “etnici” […].
Valentino Liberto, Stammtisch III, 30.10.2010