Abbiamo la possibilità di paragonare modelli, anche lontani. Intendendo Bolzano come un microcosmo si potrà giocare con la sua piccolezza e pensare Bolzano anche a confronto con molte altre realtà compatibili. Prendiamo Bolzano come piattaforma di osservazione e sperimentazione, non come modello da mostrare o glorificare.
Settimana di ricerca, Fase 1, discussioni di gruppo, 25.10.- 30.2010
Bolzano è una bella cittadina, benestante e favorita dall‘ambiente naturale. E, come a volte succede anche per le persone che hanno la fortuna di avere molte doti, a volte sembra letargica e priva di ambizioni.
Susanne Waiz, Stammtisch II, 25.10.2010
Io sono assolutamente d'accordo con una visione che ridimensioni un po' la presunta eccezionalità della storia di Bolzano.
Andrea di Michele, Stammtisch I, 25.10.2010
Sono venuto per la prima volta qui nell'estate Novantacinque, a Gries; poi sono andato via e ritornato; dal Novantotto mi sono stabilizzato, cominciando a far parte di questa città con un altra visione: con il punto di vista, cioè, di noi futuri cittadini, di noi che ci troviamo ancora in mezzo a quel lungo cammino del dover ricevere cittadinanza – cittadinanza europea, ormai, trattandosi di un'Europa unita […]. Basta dare uno sguardo ai quartieri nuovi che nascono: possono essere considerati, in certi aspetti o punti, dei quartieri “chiusi”, ma da un altro lato sono anche aperture, sono la città che si espande, che si sviluppa e si va coniugare con diverse culture. Noi, soltanto come immigrati, siamo presenti in questa città con 120 paesi: è una visione ben allargata, e coniugare tutto questo è come comporre un puzzle […]. Dal punto di vista di immigrati, all'inizio siamo arrivati qui - all'estero in generale - con l'idea di stare fuori per un pò di tempo per produrre un pò di ricchezza, di benessere per la famiglia d'origine, e poi tornare. Non è stato così: siamo "rimasti".
Artan Mullaymeri, Stammtisch II, 27.10.2010
Sulla nozione di convivenza in rapporto a Bolzano c’è da dire che il concetto di convivenza viene spesso ridotto e strumentalizzato. Manca un vero orientamento di pensiero su questo tema (se non strumentalmente a volontà politiche). Permane la tendenza a guardare a sé, alla propria parte o categoria di appartenenza.
Settimana di ricerca, Fase 1, dicussioni di gruppo, 25.10.- 30.2010
Io sono assolutamente d'accordo con una visione che ridimensioni un po' la presunta eccezionalità della storia di Bolzano.
Andrea di Michele, Stammtisch I, 25.10.2010
La città è una raccolta di biografie […].
Giorgio Mezzalira, Stammtisch II, 27.10.2010
Nel disegno elaborato con Carlo Azzolini e gli altri abbiamo identificato il fiume come asse e punto d'incontro. L'inquadratura fatta da Carlo sulla città è corretta. È vero che una città come centro storico monumentale, una città celebrativa (per scelte politiche improvvide, a mio modo di vedere) in cui si è concentrata tutta l'offerta funzionale non può essere vissuta bene. Il resto è tutto costituito da quartieri mono-funzionali o con mono carattersitiche, senza movimento nè alcun nomadismo fra quartieri e zone. E' questo il problema di fondo. Invece la proposta importante era ed è il dare a ciascun quartiere una specifica identità che divenga attrattiva per gli altri e stimoli al movimento fra un quartiere e l'altro. Ci potrebbero essere varie proposte per stimolare questo, che è davvero il punto principale.
Ospite, Luigi Scolari, Stammtisch II, 27.10.2010
A Bolzano si può di fatto vivere anche ottanta anni senza sapere l'altra lingua, e il privato questa “libertà” deve poterla mantenere, il pubblico no.
Giorgio Mezzalira, Stammtisch II, 27.10.2010
Prendo spunto da cose già dette, molte sacrosante e giuste, come il libro dei sogni per la nostra città. Partendo da "Mitteleuropa" e dalla traduzione - posticcia - in italiano "in mezzo all'Europa", alcune domande: Bolzano è un centro potenziale? È centro del Sudtirolo? Quindi: Bolzano ha un centro? Abbiamo un Sudtirolo senza centro, con Bolzano che non rappresenta ciò che dovrebbe rappresentare? È Bolzano città senza centro o con più centri? […] Prendo spunto dal titolo del capitolo di un testo del giovane scrittore e traduttore, Stefano Zangrando, che a Bolzano ora non vive più: Los von Bozen. “Prima o poi me ne andrò via da qui […] perchè qui niente si libra e prende forma […] Bolzano è una gabbia per pappagalli ammaestrati […] come può nascere una storia in questo strazio di ripetizioni, come può tessersi una trama […] non ci si costruisce per frammenti, se non indulgendo alla mancanza di un'identità […] Bolzano è un vicolo cieco della storia.” Ma intanto, senza voler sconfinare in una definizione accademica di cultura, può Bolzano crescere dall'interno a fronte di una situazione in cui si può affermare che non c'è una cultura italiana del Sudtirolo, riassumibile in una definizione di dieci righe? O magari c'è, ma non ha scambio alcuno con l'Italia; forse, non appartiene neanche al panorama culturale italiano. E'un'identità “azzoppata”, anche perchè la collettività stessa tende qui, secondo me, a identificare l'Italia in pochi semplicistici e piuttosto astratti elementi. L'italiano di qui – lo sappiamo – può anche riferirsi fortemente a certi simboli, monumenti e rappresentazioni (è in ogni caso un questione di rappresentazioni), ma non li “vede” veramente; li vive in fondo egli stesso come astratti. Può allora il Sudtirolo, date queste varie non conoscenze, non definizioni e non aperture, definirsi terra “ponte” come appare? È il problema di un Sudtirolo senza “centro” il tema centrale, secondo me.
Valentino Liberto, Stammtisch III, 30.10.2010
E’ un continuo lottare per la lingua. […] A Bolzano sono sempre, almeno per la metà, straniero. […] Negli anni Ottanta il fiume divideva Bolzano in due parti, ne era il simbolo.
Renate Mumelter, Stammtisch II, 27.10.2010
Mi chiedo se ancora oggi sia così, se il fiume tracci ancora una vera divisione o non sia solo una divisione funzionale a una dialettica. Non è effettivamente il punto in cui tutti si incontrano, indipendentemente da italiani, tedeschi etc.?
Angelika Burtscher, Stammtisch II, 27.10.2010
Fatti riguardanti la città:
103.000 abitanti
70% di madrelingua italiana
26% di madrelingua tedesca
12% stranieri parlanti italiano
0,7% ladini
Susanne Waiz, Stammtischa II, 27.10.2010
Ravviso molta emozione in quello che è stato detto: si fa molta fatica a leggere la città in tutte le relazioni che ci sono dentro, data appunto l'emozione, i propri legami familiari. Ho portato una foto della città dall'alto.
Guardandola dall'alto, si vede la città per come è cresciuta nelle pieghe della storia dell'Europa. Tutti i momenti più importanti della storia occidentale vi sono leggibili.
L'unico elemento veramente diverso è stata una trasformazione unica e radicale fra gli anni Venti e il '43, ossia una massiccia immigrazione italiana che ne ha fortemente mutato le proporzioni (il che non è stato ancora digerito nelle pance delle persone, ha provocato e provoca emotività forte).
Proverò a delineare i luoghi di queste identità e pluri-identità mescolate, che siano conflittuali o condiscendenti, ma pur sempre mescolate.
Il primo fattore che ha definito questa città è stato il suo paesaggio agricolo, la colonizzazione che il feudalesimo circa nell'VIII secolo ha comportato con piccole unità che coltivavano l'uva sulle colline del Vulcina e Santa Maddalena: mentre Franchi e Longobardi si davano battaglia, nasce come insediamento contadino la prima porzione di città, che ne viene a rappresentare fin da subito lo zoccolo duro identitario ed emozionale. Poi verso il Mille nasce l'impero e compaiono le prime attività commerciali; il vescovo decide a questo fine per la costruzione dei portici, il che definisce la città fino all'età di Maria teresa e del suo catasto: vigneti, parte contadina, e portici, ossia città commerciale. Poi questa ha cominciato a assorbire altri meccanismi, la ferrovia ad esempio; ha quindi costruito quartieri nuovi, e si è adattata ad altre novità; anche di recente sono sopravvenuti ulteriori adattamenti - da piazza Walter al museo di Oetzi, dall'università all Eurac, che hanno incrementato la fama della città tutta; poi gli immigrati hanno "colonizzato" un'area a ridosso del centro storico e si sono arricchiti gli intrecci e le pluri-identità interne ad essa.
Riprendendo la storia, la modificazione chiave è l'arrivo degli italiani, e quindi il monumento della Vittoria attorno a cui si costruisce il nucleo. Non nasce così il monumento: è Piacentini che suggerisce a Mussolini non di metterci il Walter, bensì di fare un monumento a se stesso guardando all'Europa, riprendendo elementi disparati come l'arco di trionfo romano, da cui far partire le linee di congiungimento viario con la città antica e tortuosa, che secondo l'estetica di inizio Novecento era ritenuta brutta. Si impone così la visione scenografica, l'idea di rappresentare la maestosità. Ma ciò non ha comportato che si pensasse effettivamente alla vivibilità di quest'area, anche se poi, di fatto, questa stessa parte di collegamento con Gries - dove allora abitavano ancora i contadini - è diventata appetibile e nell'insieme la parte più bella della città.
Alla piazza e al monumento, segue l'esigenza mussoliniana di collegare questa parte della città quella industriale. Nasce nel '38, anno del patto Hitler-Mussolini, e dell'alleanza contro il bolscevismo russo e le democrazie europee, e dell'accordo dei due sul confine del Bennero. Mussolini decide allora di costruire un nuovo spazio rappresentativo: del potere - la Casa del Fascio - e della Giustizia -il tribunale: l'opera di Piffrader sul Palazzo di Giustizia e una prevista anche per la casa del Fascio dovevano magnificare questa grandezza. Solo dopo si è pensata la zona circostante come abitabile, vivibile.
Il terzo intervento in questa zona è un capitolo fondamentale dell'integrazione forzata: sono le case popolari - costruite sull'esempio della Siemenstal e del razionalismo tedesco - inaugurate a partire dal '36. "Le abitazioni devono essere realizzate in modo che la vita possa svolgersi senza l'obbligo di fare ricorso alla città vicina,dalla quale si vogliono distaccare le masse lavoratori e le loro famiglie", citando un rapporto del tempo: l' unicar relazione prevista per queste abitazioni era con la zona industriale. Il centro di questo quartiere è l'attuale piazza Matteotti, ex piazza Littoria. Nel dopo guerra le costruzioni sul lato nord di via Torino e qualche servizio ha modificato e ampliato la dimensione urbana di questa zona, che è però di fatto rimasta periferia.
Poi è nato il Don Bosco, con le semi-rurali a due piani, l'altro fondamentale intervento fascista per gli italiani emigrati. Le semi-rurali sono state demolite e ricostruite con densità più alta negli anni recenti, ed oggi ci vivono tanto madrelingua tedeschi quanto extracomunitari. Da lì in poi è nata e cresciuta la zona di viale Europa.
Nascono infine Firmian e Casanova, con grandissima concentrazione di edilizia popolare e relativa irrisoluzione di problemi, ossia la perenne mancanza di servizi elementari anche minimali e luoghi di riferimennto per una e vita sociale, quindi per uno spirito "identità". Ci di fatto vi abita il cinquanta per cento della popolazione della città, chiusa proprio in queste abitazioni. Il quartiere Oltreisarco, infine, ha un'altra storia, che è più semplice.
Questa è in breve la storia della città e delle sue pluri-identità. Ciò vuol dire che non si può più riferirci a una città dei contadini, dei commercianti o degli italiani immigrati e basta: ce ne sono molte di più.
Carlo Azzolini, Stammtisch II, 28.10.2010